San Giovanni e i falò dell’estate

Falò di San Giovanni e i fuochi di inizio estate:  tutto il fascino di una festa patronale che si richiama ai fuochi che si accendevano (e che tuttora si accendono), dando alle fiamme mucchietti di resina, per andare poi a osservarli da lontano, la sera; si tratta di falò che continuano la tradizione di antichi riti pagani legati al Solstizio d’Estate e che rischiarano le notti bianche dall’Irlanda alla Russia, dalla Svezia alla Grecia fino alla Spagna passando ovviamente per l’Italia.

Ricordando che documenti del XVI secolo testimoniano la presenza di tale consuetudine in quasi tutti i paesi della Germania ma  anche nell’antica Gallia dove, durante i giorni solstiziali, si accendevano i fuochi sui monti dedicandoli al dio Bel, prima e dopo l’arrivo di Giulio Cesare.
Detto che molte sono le antiche credenze e usanze collegate al Solstizio d’Estate, una festa indubbiamente legata alla fertilità dei campi, infatti ciò che era stato piantato in precedenza comincia a rendersi visibile, i falò di San Giovanni hanno dato il là a una festa che, nella fase di cristianizzazione delle feste rurali legate al Solstizio d’Estate, hanno finito per sovrapporsi alle stesse; molte di queste tradizioni, quindi, legate al mondo rurale e pagano, sono state poi assorbite dalle festività religiose cristiane senza però snaturarne le origini e il senso.

Falò ma non solo… Quella di San Giovanni viene infatti considerata una festa per la raccolta di molte erbe, tra cui l’iperico (detta l’erba di San Giovanni ndr), ma ci sono anche molte sono tradizioni legate a questa celebrazione: la più conosciuta è la raccolta della rugiada della notte tra il 23 e il 24 Giugno che avrebbe capacità taumaturgiche; o ancora viene messa all’aperto una brocca d’acqua con all’interno un chiaro d’uovo (in Lombardia viene chiamata la barchetta di San Giovanni) e, al mattino del 24, si riprende la brocca e in base alla forma che ha assunto il chiaro d’uovo ne si traggono auspici per il proseguo dell’anno.

I Falò di San Giovanni e la notte dedicata al santo: su quest’ultima, infatti, aleggia la presenza inquietante delle streghe e dei demoni che volano nel cielo. Strix, chiamavano la strega gli antichi Romani e si trattava, secondo loro, di un uccello simile alla civetta che si nutriva del sangue dei lattanti rapiti dalle culle. Plinio il Vecchio sosteneva come le striges fossero donne trasformate in uccelli per una magia, o almeno così sosteneva la credenza popolare. Nel medioevo assunsero volto e fattezze umane: erano delle seguaci di Erodiade o di Diana, la Dea della Caccia e dei boschi, una delle personificazioni della Luna.

Un’altra Erodiade da non confondere con la madre di Salomè che aveva ottenuto dal patrigno, Erode Antipa, proprio la testa di San Giovanni in cambio di una danza. Secondo la legenda, quando le fu presentato il piatto con la testa del Santo, Salomè si pentì, ma dalla bocca di Giovanni uscì un vento che spinse la peccatrice a vagare eternamente nell’aria.

 

 

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