Viaggio sull’Etna: mitologia e simbologia (parte III)

Testo a cura di Serena Pagano

Tertulliano in Ad Martyras elencando i personaggi famosi che si erano buttati nel fuoco, ricorda fra le donne Didone e la moglie di Asdrubale e fra i filosofi Eraclito ed Empedocle.
Lo scrittore riferisce che il filosofo saltò giù nei fuochi del monte Etna; in De anima 32, invece, sottolinea la follia di Empedocle che dichiarava di essere un dio e non disdegnava che qualcuno lo ricordasse come eroe; in seguito Empedocle, per non putrefarsi in fondo a qualche sepolcro, preferì essere arrostito come un pesce, gettandosi giù nella bocca del cratere (Scholia mythologica).

Nelle varie grotte, e sono tante che si formano e si distruggono durante le eruzioni, vi è una leggenda costante, della “truvatura”: vi sarebbe cioè un immenso tesoro, custodito e protetto da svariati “mostri” o “spiriti”, che non permettono di sciogliere l’incantesimo al quale il tesoro è sottoposto. Sulla costa lavica etnea vi era una grotta, sempre formata da colate dell’Etna, la grotta delle Palombe che fa da scenario alla leggenda raccontata anche da Ovidio nella sua Metamorfosi, la triste storia di Aci e Galatea.
Galatea era una bellissima ninfa amata e ricambiata dal pastorello Aci. Ma Polifemo amava Galatea ed un giorno, furioso di gelosia, scaraventò un masso su Aci, uccidendolo. Furono le inarrestabili lacrime di Galatea a convincere gli Dei a mutare in fiume il corpo del povero Aci, dove finalmente Galatea poteva immergersi per ricongiungersi idealmente con il suo amato. Gli umani, commossi da tanto amore, decisero di affidare il nome di Aci a tutte le zone adiacenti al fiume, in memoria del povero pastore. Oggi, a causa di violente mareggiate, la grotta delle Palombe non esiste più ma rimane nella memoria grazie ad incisioni di artisti che accompagnavano i viaggiatori del gran tour.

Il Polifemo che uccise Aci è lo stesso raccontato da Omero nell’Odissea ed è conosciuto in tutto il mondo. Ulisse, ritornando da Troia, sbarcò in Sicilia sulle coste dell’acese ove fu catturato da Polifemo, un mostruoso e gigantesco ciclope con un solo occhio. Per riuscire a fuggire dalla grotta in cui Polifemo lo aveva segregato, Ulisse accecò l’unico occhio del ciclope con un palo appuntito e, nascondendosi sotto il ventre dei montoni del gregge di Polifemo, riuscì a fuggire. Ma l’ira di Polifemo si manifestò con la violenta abitudine di lanciare massi, che stavolta non colpirono Ulisse ma generarono i faraglioni che oggi ammiriamo ad Acitrezza.

Rimanendo nell’ambito delle leggende, nel territorio etneo di Sant’Alfio vi è ancora vivo e vegeto un castagno plurimillenario, il più antico e grande d’Italia, che ne custodisce una.
Si narra che una regina (Giovanna d’Aragona o Isabella d’Inghilterra) con al seguito la sua corte di cavalieri e dame, durante una escursione sul vulcano Etna fu sorpresa da un violento temporale. La regina ed i suoi accompagnatori trovarono quindi rifugio sotto le fronde del castagno che, con la sua vastità, riuscì a riparare addirittura tutti i cavalieri.
Anche Jean Houel descrisse tale leggenda nel suo “Voyage de Sicile” ritraendo il luogo e narrandone la leggenda.

Di Serena Pagano

(Continua)

Tratto da Il Giornale di Giarre edizione settembre 2021

http://www.limedizioni.com/portfolio/il-giornale-di-giarre-settembre-2021/

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